Saenchai e Buakaw si affrontano in un match di bare-knuckle per la BKFC
di Yuri Refolo, fondatore di Kombatnet
Non è ancora chiaro se si tratti di una trovata pubblicitaria solo a fini di marketing per un match-esibizione o se realmente dovremo sorbirci la pagliacciata del secolo, ossia il Re della Muay Thai Saenchai contro la leggenda della K-1 Buakaw in un match dove gli avversari si picchiano a mani (quasi) nude, secondo la disciplina del “bare knuckle“.
Pare che la Bare Knuckle Fighting Championship abbia annunciato l’evento, che si terrà in Medio Oriente e che si svolgerà secondo delle “special rules” (“regole speciali“), le quali ancora non è dato conoscere: presumibilmente differirà dai molti altri match per l’utilizzo dei calci (già inclusi in qualche occasione).
Il “Bare Knuckle” è una pratica di combattimento oggi regolata da numerose associazioni (come la BKFC – Bare Knuckle Fighting Championship) che affonda le radici in varie discipline nate prima dell’adozione delle protezioni per le mani (i cosiddetti guantoni): se ne trovano origini nel pugilato settecentesco inglese, regolamentato dalle famose Broughton Rules e dalle London Prize Ring Rules, prima che le Marquess of Queensberry Rules introducessero l’utilizzo obbligatorio dei guantoni oppure nella pratica del “Vale Tudo“, diffuso in Brasile nella prima metà del ventesimo secolo.
Le varie organizzazioni oggi tendenzialmente propongono una boxe a mani coperte solo da fasciature, senza guantoni.
I due non sono nuovi a questo tipo di combattimento: entrambi sono stati tentati dalle promesse della nuova fiorente promotion, che pare crescere più rapidamente di qualunque altra, data anche la sanguinaria spettacolarità dei propri match.
“Entrambi hanno avuto carriere leggendarie ed hanno combattuto in molti match che hanno fatto la storia della Muay Thai” ha detto il presidente di BKFC David Felman: “I fan degli sport da combattimento si sono sempre divisi su chi avrebbe potuto vincere, ora lo potranno verificare con i loro occhi”.
Sombat Banchamek, AKA Buakaw Banchamek, ha segnato la storia della kickboxing, nella fattispecie della K-1, dove pur senza gomitate e con un clinch limitato ha saputo imporre la sua “K-Thai” diventando una icona per fan e fighter a venire.
Suphachai Saepong, al secolo e per tutti “Saenchai“, di suo, ha collezionato una serie inimmaginabile di match (378, molti dei quali vinti) battendo i più grandi della Muay Thai del suo periodo, vincendo i premi più prestigiosi, diventando più volte campione del Lumpinee e diventando una leggenda vivente della disciplina.
Buakaw ha allentato ultimamente la frequenza dei suoi match, dopo aver fatto piazza pulita dei più grandi: è ritornato di recente a combattere, vincendo ma non convincendo e si dedica ora più all’insegnamento che al combattimento, divertendosi a fare sparring con grandi campioni come Superbon, suo allievo, dimostrando di avere ancora molto da dire con addosso i guantoni.
Saenchai invece da tempo non combatte contro un avversario degno del suo rango: e se si esclude la sconfitta contro Phetmorakot Wor.Sangprapai al Rajadamnern, lo stesso Pethmorakot che ha messo inizialmente in difficoltà il nostro Giorgio Petrosyan ad ONE Championship nel 2019 (match controverso trasformato in no contest a causa del “troppo clinch” del Thai, sic) è dai tempi delle sfide contro Singdam che non si vede Saenchai sudare per una vittoria, il che la dice lunga o sulla qualità dei propri avversari o su motivazioni dalle quali ci teniamo prudentemente lontani, per decenza.
Tralasciando la differenza di peso di oltre 10 kg, di altezza di oltre 10 cm ed i diversi ambiti di competenza, non vediamo davvero l’utilità di formalizzare una delle loro tante scherzose sessioni di sparring dove giocano a rincorrersi, prendersi in giro e tentare colpi improbabili in un match vero e proprio con pubblico pagante.
Ci piace l’idea di vederli scambiare colpi, sì, ma in palestra: non certo vederli esibirsi come fenomeni da baraccone su un ring a fare finta di colpirsi come nel professional wrestling.
Pare che i dubbi siano condivisi anche da chi sa una cosa o due sulla Muay Thai, come Liam Harrison (che ha già affrontato Saenchai ben quattro volte) e afferma: “Sono compagni di allenamento ed amici, si tratta solo di una farsa scenografica o che cosa?”

Mentre il tre volte campione ONE Championship dei pesi massimi Brandon Vera si dimostra perplesso: “Non so se voglio vedere questo match”

Tanti altri hanno commentato negativamente l’evento, tra chi pensa alla sceneggiata prefabbricata e chi non vuole vedere combattere due amici (motivazione blanda: gli avversari sportivi non sono nemici, per quanto altre discipline ci vogliano far credere il contrario, in bilico tra dissing, trash talking e pile di denaro).
Il punto è che non c’è bisogno di degradare la Muay Thai (né la K-1) ad arte scenica e per quanto siano interessanti le dimostrazioni di Buakaw nella Muay Boran contro più avversari (utili più a spianargli la strada come attore che a dimostrare la reale essenza dell’arte marziale dalla quale deriva la Muay Thai) in quel contesto è chiaro l’intento: si tratta di puro intrattenimento e non ci si può confondere.
La Muay Thai prevede anche la declinazione del “Kard Chuek”, i combattimenti con corde di canapa al posto dei guantoni, ma si tratta di tutta un’altra cosa: per quanto anch’essi siano asserviti alle logiche di spettacolo (di recente hanno conosciuto il favore del pubblico grazie ad un reality thailandese), si tratta comunque di match duri e non di farse conclamate. Basta guardare il match tra Saiyok e Sudsakorn per capire che non si tratta di un gioco.
Ora, che la Thailandia sia la patria dei match pilotati è un dato di fatto: la stessa costruzione dell’incontro sui 5 round, con gli ultimi due round a gomiti e clinch (o a prudente distanza) è uno storico segno dell’asservimento alle logiche delle scommesse. E gli ultimi scandali riguardanti l’arbitraggio nei grandi stadi che hanno fatto la storia della Thai, come il Rajadamnern ed il Lumpinee, completano solo il quadro di una disciplina che a dispetto della sua cruda durezza si mescola talvolta con la finzione, in un gioco di luci ed ombre che la rende a tratti affascinante, a tratti insopportabile.
Ma prendere palesemente in giro i fan è un’altra cosa: sappiamo tutti che se dovessero veramente combattere all’ultimo sangue non potrebbero esserci possibilità per Saenchai, che è grande quanto una gamba di Buakaw; inoltre i danni che si infliggerebbero sarebbero di portata tale da tenerli fuori dal ring per troppo tempo.
Ed entrambi sono troppo impegnati a consolidare la loro immagine sui palchi ring di tutto il mondo. Uno con l’approccio alla “Trainer Gae“, macinando km sul ring come un carro armato, ignorando i colpi del povero avversario di turno che puntualmente viene messo KO da un colpo perfettamente calcolato (…).
L’altro affrontando una sfilza di avversari desiderosi di fama e puntualmente battuti tra piroette e schiaffetti, in numero tale da sorpassare anche la palmarés di un veterano del ring.
Forse è proprio questo il punto: di vedere un magistrale Saenchai VS Nong-O dell’epoca o un Buakaw VS Zambidis possiamo farcene una ragione: non accadrà più.
Dobbiamo rassegnarci a cedere il passo all’inesorabile incedere del tempo e possiamo solo sperare di vedere altri nuovi campioni scrivere la storia della loro disciplina d’ora in avanti. Delle vecchie glorie del passato è rimasta solo l’ombra, sempre più sfumata.
C’è una remota possibilità che i due possano dare vita ad uno spettacolo fuori dal comune senza per forza renderlo sanguinolento e inutilmente violento e senza dare l’impressione che sia una danza coreografata. Le possibilità sono basse, ma mai dire mai: e quando si parla di nomi del genere tutto può accadere. Tuttavia la statistica, che pur non è una scienza esatta, ci impone di considerare le probabilità che questo avvenga, dati gli ultimi spettacoli ai quali abbiamo dovuto assistere: e l’ago della bilancia tende tristemente verso la scritta “fake“.
E il tono piccato di chi scrive riflette ovviamente la propria difficoltà a rassegnarsi a cedere a Chronos quanto dovuto, oltre che l’indignazione nel vedere una Gioconda esposta, invece che al Louvre (o magari in un nostro museo, thanx), in un cesso di un autogrill.
Samart Payakaroon, dopo aver fatto la storia, è diventato un attore: ma per tutti era chiaro si trattasse di un film.
Y.R.
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