La storia di Francis Ngannou: dalla disperazione alla leggenda
Chi sia Francis Ngannou lo sanno tutti: è il colosso di 193 cm per 120 kg di muscoli che nell’arco di pochissimo tempo ha scalato le vette del tempio dell’MMA mondiale, l’UFC, sconfiggendo nomi come Junior dos Santos, Alistair Overeem e demolendo Stipe Miocic il 27 Marzo 2021, guadagnandosi anche il premio “Performance of the Night” (non per la prima volta, peraltro).
Quella che forse non tutti conoscono è la sua storia.
Nato e cresciuto nel villaggio di Batié, in Cameroon, assieme ad altre 10.000 anime disperate, ha conosciuto una miseria che in pochi possono raccontare di aver affrontato e vinto.
I suoi genitori divorziarono quando aveva sei anni, lasciandolo ancora più solo e povero a vivere con una zia.
Senza una istruzione formale (i genitori non avevano soldi per continuare a mandarlo a scuola e non riuscirono a fargli completare gli studi) a soli 10 anni Ngannou lavorava in una cava di sabbia per tentare di contrastare la povertà della sua famiglia. Ricorderà più avanti di essere stato buttato fuori dalla classe per non aver avuto nemmeno una penna o un quaderno sul quale prendere appunti.
Da adolescente riuscì a schivare le offerte allettanti di numerose gang di delinquenti: nella sua mente cominciava a formarsi l’idea di usare la sua forza solo sul ring. Ovviamente (e questo dovrebbe dirla lunga sull’importanza del mito) conosceva Mike Tyson e voleva diventare come lui. Iniziò a boxare tardi, a 22 anni, nonostante la riluttanza della sua famiglia.
A 26 anni, a poche settimane dalla morte del padre, decise che il Cameroon non era il posto dove avrebbe potuto far crescere i suoi sogni e si diresse in Europa, verso la Francia. Non fu facile prendere questa decisione: in Cameroon gli emigranti non erano ben visti.
Lasciò quasi tutti i suoi averi alla sorella, salutò la madre ma non disse a nessuno dove era diretto. Sapeva che sarebbe finito in cattive acque ed una volta in mezzo a mafiosi ed assassini sarebbe stato meglio non avere nulla con sé: né soldi né una storia alle spalle.
Si diresse tramite la Nigeria verso l’Algeria dove visse da clandestino, contrattando con polizia corrotta e contrabbandieri che lo condussero quindi verso il Sahara. Nascose i pochi soldi che sapeva gli sarebbero serviti una volta arrivato al confine con l’Europa ingoiandoli in una bustina di plastica, per evitare che glieli sequestrassero.
Attraversò il grande deserto a bordo di un furgoncino con altre 25 persone al suo interno. Il furgoncino viaggiava a 110 Km/h e sobbalzava ad ogni duna o buca: bisognava stare molto attenti a tenersi stretti l’uno all’altro, poiché chiunque fosse caduto dal veicolo sarebbe rimasto a morire nel deserto. Nessuno sarebbe stato raccolto in caso di caduta: e bisognava solo sperare che la macchina non si rompesse, durante l’estenuante viaggio della durata di 24 ore.
Arrivato in Marocco Ngannou attraversò lo stretto di Gibilterra su una zattera, provandoci ben quattro volte e venendo arrestato ogni volta. Quando vieni catturato dalla polizia marocchina, ti portano nel Sahara e ti lasciano lì senz’acqua. Se riesci a tornare indietro bene, altrimenti muori.
Ngannou riuscì a tornare tutte e quattro le volte. Al suo quinto tentativo riuscì ad attraversare lo Stretto ed arrivare in Spagna. Gli ci vollero 18 mesi di tentativi. Tuttavia quando arrivò nel Vecchio Continente venne arrestato per altri 2 mesi poiché sprovvisto di documenti risultando di conseguenza immigrato illegale.
Ha dichiarato più volte che il finire dietro le sbarre fosse per lui più che altro uno stress: in realtà a volte quasi un sollievo, dopo aver passato quello che avevi passato.
“Sì, eri dietro le sbarre, ma eri al sicuro. Sempre meglio che rischiare di morire in mare o nel deserto. Era come una sorta di pegno da pagare prima di essere finalmente libero”.
In Europa ha vissuto di stenti, per la strada, nascondendosi tra le fratte al passaggio della polizia e mangiando quello che trovava nei sacchi dell’immondizia. Spesso, ricorderà, lottando con i topi per strappar loro un pezzo di cibo dalla spazzatura.
“Anche se dormivo sulle panchine e non avevo cibo o denaro ero finalmente libero. Rispetto alla mia vita in Marocco, un parcheggio era come un hotel a cinque stelle”.
Una volta arrivato in Francia, senza amici, zero denaro e nessun posto dove dormire, l’unica soluzione per lui era infatti vivere come senzatetto.
“Mi ci vollero quasi DIECI ANNI dalla prima volta in cui fissai il mio obiettivo di diventare un fighter a quando misi piede in una palestra la prima volta, ma ho sempre pensato che sarebbe accaduto”, dice con fierezza.
Sperando di imparare a boxare si rivolse così ad un istruttore che accettò di insegnargli gratuitamente. Chissà cosa vide, negli occhi di quel ragazzo così solo e circondato di nient’altro se non la sua determinazione.
Il suo coach si accorse ben presto delle sue capacità atletiche e tecniche ma gli suggerì di provare le MMA.
“Non so cosa siano le MMA” disse Ngannou, “non ne ho mai sentito parlare“.
Convinto di entrare in una palestra di boxe, Francis si era invece diretto verso una palestra di arti marziali miste.
Ci sono momenti, nella vita, dove si capisce di essere di fronte ad un bivio. O forse addirittura ad un crocevia di più strade. Ed a volte si percepisce, con il cervello o con il cuore, quale sia la strada più importante da imboccare. Qualcuno sostiene che la vita non sia altro che un insieme ininterrotto di tutti questi momenti.
Di fronte a quel bivio, incuriosito, Francis Ngannou avrebbe potuto dire “no, grazie, voglio fare pugilato“. E magari sarebbe diventato un grande campione di boxe. Oppure no.
Invece la sua risposta fu
“Ma sì, perché no. Proviamo“.
In tre anni era arrivato alla UFC.
Durante tutto il suo lungo viaggio dal Cameroon, attraverso la Spagna, la Francia, l’Inghilterra fino agli USA rischiò di morire, per vari motivi, tantissime volte: il tutto unicamente per la sua passione per il combattimento ed il suo desiderio di riscatto verso la vita.
Quando fece il suo debutto nelle arti marziali miste, non conosceva nemmeno tutte le regole.
“Per me si trattava solo di combattere, come avevo sempre fatto”.
Alla vigilia di UFC 249 ammise candidamente di non sapere nemmeno chi fosse il suo avversario, Jairzinho Rozenstruik (uno dei più grandi combattenti di MMA, attualmente sesto nel ranking dei pesi massimi).
Dana White, dopo i test di potenza effettuati su Ngannou, ammise pubblicamente:
“Essere colpiti da Francis Ngannou equivale ad essere travolti da una Ford Escort al massimo della sua velocità”.
I test dimostrarono che la sua potenza di colpo equivaleva ad una mazza da 12 libre (circa 5 kg): il suo allenatore Dewey Cooper, nonostante la sua esperienza di kickboxer e pugile nei massimi leggeri e massimi, sostiene che fare sparring con Ngannou sia una esperienza devastante:
“Qualche volta faccio sparring con lui quando gli sparring partner non si presentano: sono abituato a fighter pesanti e forti ma con Ngannou le cose sono diverse. Finisco sempre col farmi male nonostante le protezioni”.
Ngannou è un uomo con una determinazione d’acciaio e la sua storia non è esente da problemi con chi gli è stato accanto, a partire dal suo allenatore Fernand Lopez, che assieme a Dana White ha più volte sottolineato i grandi problemi di ego e di relazioni interpersonali del camerunense. Tuttavia non è possibile ignorare gli ostacoli, talvolta insormontabili o addirittura mortali, che la vita ha messo di fronte a Francis e l’impatto che l’averli superati possa aver avuto sulla sua personalità.
“Quando ho cominciato non avevo nulla. Nulla. Avevo bisogno di ogni cosa. Ma quando cominci a guadagnare soldi cominci a collezionare oggetti: ‘voglio questo, voglio quest’altro’. Poi capisci che lo scopo non è collezionare beni: lo scopo è creare qualcosa di grande. Finire il sogno che hai iniziato“.
Ngannou oggi conduce la Francis Ngannou Foundation, che è a capo della prima palestra di MMA in Cameroon, dedicata ai ragazzi che come lui non avevano altro che sogni da realizzare. Ogni volta che torna nella sua città natale torna a far visita alla cava dove ha lavorato da bambino. Per non dimenticare.
“Non so che emozioni proverò quando sarò lassù in cima” afferma, “con la cintura di campione del mondo attorno alla mia vita. So solo che sarà grandioso. Avrò sconfitto, più che i miei avversari, il mio passato”.
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